Dopo il pregevole capitolo di Manni Noretti la storia prosegue su una scia di sentimenti che richiamano l’Iperuranio di Platone e non è un caso se scriviamo questo proprio oggi perché il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno venne condannato a morte e arso sul rogo.
Questa storia ha piú livelli di lettura, uno piú profondo dell’altro e non mi stupisce se qualcuno non riuscirà a comprenderlo1.
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Il piscio – capitolo 3
Riaprii gli occhi. La stanza era inondata dal sole rovente. Ero ancora nudo, senza forze, adagiato sul letto con la pancia all’aria. Non riuscivo a muovermi. Con uno sforzo inenarrabile portai la mano al pene e sentii il tubicino del catetere che usciva dal glande. Era asciutto. Toccai il pube con la mano, poi il meterasso: non c’era traccia di urina. La vescica non si era svuotata e anzi mi faceva protrudere il basso ventre come un monte spelacchiato e riarso. Infilandosi dalla finestra aperta, la luce batteva proprio in quel punto, ma il dolore dovuto alla distensione dell’organo pieno di liquido era tale che non avvertivo alcun bruciore dai raggi solari. Richiusi le palpebre con una smorfia di dolore. Il mio addome era come trafitto da coltellate, avrei voluto cambiare posizione ma il mio corpo non rispondeva più. Sopraffatto dal terrore, ansimando, spalancai gli occhi e urlai con tutto il fiato che avevo. Lentamente misi a fuoco il soffitto, poi i miei piedi e la sponda del letto. Il mio petto si gonfiava e svuotava d’aria senza un ordine preciso, un tremore mi scuoteva le membra. Battevo i denti senza capire se avessi freddo o se stessi andando a fuoco. Dovevo avere la febbre.
Minuto dopo minuto, tra istanti di panico incontenibile, la mente riprese a funzionare. Il mio primo pensiero razionale fu rivolto al telefonino: lo tenevo sempre sulla sedia alla sinistra della mia metà del lettone. Dovevo controllare che nessuno l’avesse spostato e cercare di raggiungerlo per chiamare il pronto soccorso. Dov’era mia nonna? Come poteva avermi abbandonato? “Nonna! Nonna!”, gridai disperato, piangendo. Nel parossismo mi tornò ai muscoli del collo quel poco di forza per consentirmi di girare la testa verso la seggiola. Nel mio campo visivo, al posto della sedia nell’angolo della stanza, si trovò una massa scura. I miei occhi non riuscirono immediatamente a interpretare la scena. Mettevano a fuoco, muti, un insieme di linee ed ombre incomprensibili, senza poter ricostruire alcunché di reale. Un secondo dopo, il fiato mi si arrestò in gola, la bocca inutilmente spalancata in un conato di terrore primordiale: Luciano, con indosso soltanto una camicia, lurida e aperta sul tronco emaciato, mi fissava grigio dalla sedia.
Non so cosa successe nei minuti successivi, la mia ragione si dissolse in un magma di angoscia e dolore da cui a tratti emergevo, come in terza persona, per osservare la scena dal lato opposto della stanza. Non poteva essere reale, eppure ero in grado di vedere con il distacco di un visitatore il mio corpo sdraiato e il vecchio seduto accanto al letto. Luciano stava con la schiena dritta, gli avambracci appoggiati alle cosce appena dischiuse. Il suo sguardo era fisso alla mia persona, allo stesso tempo sperduto e penetrante sotto alle sopracciglia aggrottate. Il volto, solitamente curato, era adombrato dalla barba lunga. La labbra sottili, indecifrabili, accennavano un ghigno trasognato. Vedevo il suo inguine scuro, appena ingrigito, con il lungo pene grinzoso che serpeggiava verso terra. La camicia che indossava, azzurra, era quasi irriconoscibile e chiazzata di materiale brunastro con dei filamenti trasparenti, collosi. Sembrava vomito, forse con sangue rappreso, e muco di lumaca, sperma e chissà cos’altro.
Ritornai in me. Il terrore era svanito. L’istinto di conservazione, all’ultimo, mi richiamava alla lucidità. Sofferente, mi rivolsi a Luciano: “che fai lí?”, dissi con un filo di voce. “Sto molto male Luciano, mia nonna è stata qui, ha cercato di curarmi. Mi capisci?”, chiesi, non vedendo alcuna reazione da parte sua. Il vecchio non era nuovo a silenzi ostinati, che potevano durare anche molti giorni, e a volte appariva assente. Io e Lucia attribuivamo queste sue stranezze all’età avanzata e non davamo loro peso, ma ora assumevano un peso e una natura diversi e come macigni pesavano sul mio corpo martoriato.
“Ti prego, Luciano”, supplicai, “devi aiutarmi. Non riesco a muovermi. La mia vescica deve essersi bloccata, non capisco come ma da ieri non riesco a pisciare e ora sento che sta per scoppiare.” Mi fermai per riprendere fiato. Il viso di Luciano era sempre fisso, impassibile, ma sapevo che sentiva e almeno in parte capiva ciò che gli dicevo. “C’è una cosa che puoi fare per me”, continuai “ora devi prendere quel tubicino che mi esce dal cazzo e devi provare a muoverlo avanti e indietro. Forse qualcosa mi ostruisce le vie urinarie e dobbiamo cercare di smuoverlo per fare uscire il piscio. Ti prego, capiscimi”.
Il petto di Luciano si sollevò impercettibilmente. Una, due, tre volte. Poi, senza mutare espressione in viso, con una lentezza innaturale, l’anziano chinò il torso in avanti e si rizzò sulle gambe ossute. I testicoli, in uno scroto pendulo e lunghissimo, gli ondeggiarono avanti e indietro diverse volte. Come un sonnambulo, quindi, percorse lo spazio che lo separava dal letto, fermandosi ad ogni passo, per tre volte. Infine, con un gemito sordo, basso, che sembrava provenire dalle viscere dalla terra, si sedette sul letto, con il volto girato verso il mio inguine. Sentivo il suo picio appiccicoso aderire alla mia coscia.
Ero ancora in erezione, forse per un riflesso nervoso. Luciano mi prese l’organo e iniziò a fare su e giù con la mano. “Che fai, Luciano?”, chiesi allarmato, “non è il momento, sei matto?”. Con il fiatone, lo supplicai nuovamente: “smettila, ti scongiuro, devi prendere il tubo, muoverlo avanti e indietro”. Il vegliardo continuò col suo massaggio e, pur esterrefatto e dolorante, alla fine mi calmai. Non sapevo più che fare. Il vecchio mi masturbava imperterrito, come uno spettro smarrito nella propria mente, mostrandomi la radice del suo culo imbrattato di scorie, smagrito ma ancora tonico. Dove aveva passato la notte, che cosa aveva fatto per ridursi a quel modo? Incredulo lo osservai chinarsi e portare la bocca al mio sesso. Nell’istante in cui venni il mio corpo esplose: la vescica, superato il limite critico di tensione, rilasciò l’orina con uno scoppio devastante, e il liquido giallo eruppe dal mio ventre investendo Luciano e bagnando tutta la stanza fino al soffitto. Le mie gambe, divelte dall’esplosione, schizzarono via e andarono a colpire la parete di fronte, infrangendo lo specchio. Il sangue sgorgava a fiotti dalla lacerazione che mi attraversava le membra. Con orrore, senza potermi sottrarre, osservai Luciano che si era come ridestato e con una folle, fredda frenesia mi estraeva gli intestini dall’addome e li annodava alle mie carni dilaniate arrestando le perdite di sangue. Era stato un pescatore per decenni, era sopravvissuto a naufragi e tempeste terrificanti e sapeva realizzare qualsiasi nodo in ogni possibile condizione. Compresi che non sarei morto subito, come mi ero aspettato. Sarei sopravvissuto in qualche modo. Sconvolto, fissando la schiena immobile di Luciano, realizzai che forse sarebbe stato meglio morire subito.
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Eccolo, Luciano! Secondo me aveva capito sempre cosa diceva il protagonista, ma è un furbacchione 😂
E chissà dove era stato!
E la moglie? C’è un nesso per cui non è più tornata?
Attendo il prossimo episodio 😀
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La storia è molto intricata e difficile, da vivere su diversi piani di lettura e realtà per poterla comprendere appieno.
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Ci rifletterò sopra °-°
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Perfetto!
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Spero solo di non fare incubi :D
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Credo sia impossibile non farne!
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😂😂😂
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Attenta a ridere: può essere pericoloso!
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Già… prima che poi mi scappa la pipì e non mi ricordo più come farla :/
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Ecco, quello sarebbe veramente tragico!
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Esatto, non avevo mai pensato a questa possibilità 😱
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Ora hai pronta una nuova paura!
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La aggiungerò alla mia collezione 😅
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Perfetto!
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Di nuovo il termine che svetta è “picio”. Si vede l’ano dell’artista.
Questo terzo racconto risponde al dubbio che vedeva Luciano troppo distaccato dal protagonista. Finalmente c’è il risultato che tutti i lettori volevano vedere. E poi lo splatterone finale è efficace.
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Ora anche i piú morbosi possono essere accontentati, sottolineando sempre l’importanza regionale di alcuni termini che non lasciano assolutamente il tempo che trovano: tutt’altro!
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La regionalità nel racconto lo fa diventare DOP.
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Possiamo vantarci e darci arie come nessun altro al mondo!
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Questa regionalità, secondo me, richiede un tocco di ciolla, per alimentare la discussione :P
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Chissà se si metterà la ciolla in futuro!
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L’ho letto tutto, ormai so se c’è pure la ciolla :P
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Era un trabocchetto il mio!
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Tu e i tuoi traCoBetti! ;)
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Cidi bene!
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Anche io mi sono domandata cosa fosse quel Picio…
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Ma Zeus sa cos’è il picio. Ed ora suppongo anche tu!
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Spero che apprezzato l’uso del dialetto in questo racconto, secondo me il Ysingrinus ha messo il turbo
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Cí, l’ho messo, assieme ad Edo e a Manni!
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Pensavo si mettesse a soffiare sulla cannuccia, oppure tirare come si fa con il vino… invece siamo allo splatter! E mo’ sò cacchi!
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In tutti i sensi davvero!
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Non mi aspettavo il risvolto splatter! Di bene in meglioa
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È veramente incredibile!
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Ecco, c’è la posso fare! Si ho notato che me ne mancano ancora due compresa una seconda ripassata al V!
Ora curiosa vorrei capire… ma questo processo di bloccaggio delle urine esiste per davvero?🤔
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Io ho sempre paura di dimenticarmi come si piscia.
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Davvero?
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Cí!
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😱
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!
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Che storia crudele! Questo prorompente desiderio di pisciare a tutti i costi, il vecchio zozzo (dentro e fuori) esperto di nodi…
Davvero il vecchio terribile!
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Pericolosissimo!
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